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L’internazionalismo di “De Stijl” nel Congresso di Düsseldorf

 

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Partecipanti al Congresso di Düsseldorf, 1922, (da sinistra): Werner Graeff, Raoul Hausmann, Theo van Doesburg, Cornelius van Eesteren, Hans Richter, Nelly van Doesburg, Kurt Schwitters, El Lissitzky, sconosciuti

“Quello che Mondrian ha chiamato neoplasticismo è nato solo verso il 1917 a Laren, in Olanda, dove egli era ritornato da Parigi allo scoppio della guerra. Qui conobbe Theo van Doesburg e dal loro incontro, nello stesso anno, nacque a Leyda la rivista De Stijl” (1). Uno dei fini principali dei neoplasticisti di De Stijl stava nella creazione di un “linguaggio universale”, nella tensione alla formazione della figura di un “nuovo artista”, come si affermava già nel primo numero del periodico “De Stijl”. Questa pubblicazione si prefiggeva di contribuire allo sviluppo di un nuovo senso estetico. Alla “confusione arcaica”, al “barocco moderno”, voleva contrapporre i principi logici di uno stile fondato sull’osservazione dei rapporti fra le tendenze ed i mezzi di espressione a lui contemporanei: “Vuole riunire e coordinare le tendenze attuali della nuova plastica, le quali, benché fondamentalmente simili fra loro, si sono sviluppate indipendentemente l’una dall’altra…L’artista veramente moderno, cioè cosciente, ha una duplice missione. In primo luogo, egli deve creare l’opera d’arte puramente plastica; in secondo luogo, deve avvicinare il pubblico alla comprensione di un’estetica dell’arte plastica pura…Quando gli artisti delle diverse arti plastiche avranno capito che devono parlare un linguaggio universale, non si aggrapperanno più alla propria individualità” (2). I neoplasticisti si pongono quindi il compito di riorganizzare le più diverse tendenze avanguardistiche (3). Fra i partecipanti al Congresso di Düsseldorf ci sono esponenti espressionisti (“Das Junge Rheinland”, “Novembergruppe”, Oskar Kokoschka), dadaisti (Raoul Hausmann, Hans Richter), costruttivisti russi (Ivan Puni, El Lissitzky, Eli Ehrenburg), più gli appartenenti al “Gruppo Ma”, che ci conducono, come anche con Vassily Kandinsky, al Bauhaus e cioè: Laszlo Moholy – Nagy, Ernst Kállai ed il giovane Werner Gräff, studente della Scuola di Gropius “convertito” da van Doesburg alle idee neoplastiche. Una presenza individuale è costituita dall’italiano Enrico Prampolini.  Si è scritto che il Congresso di Düsseldorf non portò radicali innovazioni nel movimento internazionale ma che addirittura si risolse in una sorta di “riunione fraterna di spiriti affini e di susseguirsi di discussioni più o meno disciplinate” (4). Ma in questa iniziativa si può riconoscere il tentativo della elaborazione di un nuovo “ordine cosmico”, partendo da presupposti che artisti come Georges Vantongerloo – nei suoi “Études” del 1915/17 – avevano già reso evidenti: “La pittura e la scultura secondo la concezione tradizionale appartengono all’età della lampada ad olio: oggi non sono più necessarie. Certo, sono arti ma arti di una diversa cultura. Ciò non significa che non debbano essere rispettate…Fra la lampada ad olio e la luce elettrica, fra la geometria euclidea e la teoria della relatività vi è un abisso. Il nostro sistema sociale è ancora tri – dimensionale. Il vecchio sistema sociale ci rendeva un buon servizio, non ne esisteva uno migliore. Oggi però agisce contro di noi. Perciò dobbiamo rivedere ogni cosa: il nostro vocabolario, i nostri ideali, il nostro modo di vivere. Dobbiamo modificare il nostro modo di pensare”. Sebbene da più parti si avvertisse la necessità della convocazione di una conferenza internazionale, le relazioni presentate al Congresso sembrano indicare una divisione non lieve sugli obiettivi, che si presumevano comuni. Al di là della sua maggiore o minore incidenza in relazione ai risultati oggettivamente scarsi di altre iniziative simili quali il Congresso Dadaista – Costruttivista a Weimar (ottobre 1922) -, resta il suo carattere di fondo: il tentativo di superamento delle “ambiguità artistiche” in favore di una nuova “materializzazione” architettonica (5) che, dall’incontro delle esperienze di nazioni strutturalmente differenziate – Unione Sovietica ed Europa – concretasse nella grammatica del “linguaggio universale” la tensione e l’attenzione alla costruzione dell’ambiente fisico nella sua totalità. Le ripetute affermazioni in favore del collettivismo (“La vita non riconosce alcuna personalità isolata”), già abbastanza lontane dalla “ristretta cerchia di amici che lavorano a stretto contatto” – come voleva essere, ad esempio, il Bauhaus di Gropius -, l’abbandono dei vecchi modi di fare “arte”, l’organizzazione in commissioni amministrative, che costituiscono un richiamo agli aspetti pratico – organizzativi della Unione”, nascono da una precisa sostanza. Al dichiarato criterio internazionalista si accompagna la più generale volontà di riorganizzazione dei “valori”: si vuole riportare a comune matrice quanto disorganicamente espresso da Movimenti, Scuole e personalità isolate, cioè una “lingua mathematica” anche per ciò che disciplinarmente compete alla progettazione ed alla costruzione, prolusione, al di là della assimilazione dei “Beginselen der beeldende Wiskunde” di Schoenmaeker (6) e delle richieste dei “Lavoratori dello spirito” (7), alle conclusioni “Vers une construction collective”: “La nostra epoca è nemica di ogni speculazione soggettiva nell’arte, nella scienza, nella tecnica etc. lo Spirito nuovo che governa già pressoché tutta la vita moderna, è contro la spontaneità animale (lirismo), contro la dominazione della natura, contro i fronzoli e a cucina artistica…Per costruire una cosa nuova abbiamo bisogno di un metodo, cioè di un sistema oggettivo. Se si scoprono, in cose differenti, la stessa qualità, si è trovata una scala oggettiva “ (8). Questa “scala oggettiva” stava nella “certezza architettonica”, i cui dati condivide anche il dadaista Richter, come si coglie nella conclusione del suo intervento al Congresso: “Se siamo già arrivati al punto di lavorare e procedere collettivamente, non barcameniamoci più tra una società che non ha bisogno di noi ed una società che ancora non esiste ma trasformiamo il mondo di oggi, perché nella nostra determinatezza rappresentiamo una forza della quale oggi non vi rendete ancora conto” (9). Determinatezza e forza, quindi (10) ma la determinatezza di Richter, esponente di spicco di uno dei Movimenti più distruttivi, rimanda alla triade di El Lissitzky: “Ordine, determinatezza, configurazione”. Valore univoco della riconoscibilità della forma geometrica, funzionalità, “bellezza” sono i fini; i mezzi: colore, linea, superficie, volume, spazio, tempo, secondo l’ordine dato da van Doesburg – architetto, teorico e poeta – che qui si esprime nella sua veste di “pittore”, con i toni caratteristici di chi antepone il mezzo disciplinare ad ogni qualsiasi altra considerazione. Ma da lì a circa un anno dopo, si scriverà: “Non esiste un’arte che abbia come punto di riferimento una classe determinata di uomini e se esistesse non avrebbe alcun valore per la vita” (11).

Note

1 Mario de Micheli: “Le avanguardie artistiche del Novecento”, Feltrinelli, 1976, p. 286.

2 “Prefazione 1”, in “De Stijl”, giugno 1917.

3 Nella formazione di De Stijl vanno considerate quelle componenti filosofiche che, attraverso il teosofismo del Dott. Schoemaecker, rimandano direttamente all’insegnamento platonico: “Dall’unione dell’illimitato e del limite, cioè dalla funzione che il limite esercita nel molteplice riducendolo all’unità, nasce il genere misto. Tutto ciò che nel mondo e nell’uomo è ordine, proporzione, armonia, tutto ciò che è misura e numero, appartiene al genere misto, sicché tra dolore e piacere c’è posto per un terzo stato, quello dell’indifferenza, che è lo stato proprio dell’indifferenza” (dal “Filebo” di Platone). “Sfuggirà all’emozione tragica soltanto l’uomo che abbia appreso – sviluppando una visione puramente plastica – la trasposizione nell’universale dell’individuale” (Piet Mondrian, in “De Stijl”, n.° 11, settembre 1919). “Nel pensiero puramente astratto è assente ogni percezione associativa sensibile (naturalistica), al suo posto si hanno le relazioni, come accade per la matematica vera e propria, con i numeri. In rappresentazioni di questo tipo diviene visibile la nozione, il contenuto del puro pensiero. Ed in questo caso, in cui il contenuto del puro pensiero pre – sensibile diviene immagine, abbiamo già una contemplazione plastica” (Theo van Doesburg, in “De Stijl”, n.° 11, 1918).

4 Reyner Banham, “Architettura della prima età della macchina”, Calderini, 1970, p. 210.

5 Già nel 1920 El Lissitzky aveva indicato “Proun” come stazione intermedia fra arte e architettura.

6 “Principi di matematica plastica”, testo del 1916. Il Dottor Schoemaecker, amico di Mondrian, studioso di problemi di teosofia e di filosofia, produsse un altro testo importante per la nascita di De Stijl: “Het nieuwe wereldbeeld” (“La nuova immagine del mondo”, 1915). La Società Teosofica fu fondata nel 1875 da Helena Blavatskij. I legami di van Doesburg con questa Società furono inizialmente molto marginali ed il suo primo avvicinamento alla vita spirituale avviene attraverso “Lo spirituale nell’arte” di Kandinsky e, successivamente, attraverso Mondrian.

7 “Lavoratori dello Spirito, compagni dispersi attraverso il mondo, separati da cinque anni dagli eserciti, dalla censura e dall’odio delle nazioni in guerra, noi, in quest’ora in cui le barriere cadono e le frontiere si riaprono, rivolgiamo a voi un appello per riformare la nostra unione fraterna” (da “Déclaration d’indipèndence de l’Esèprit”, articolo non firmato in “De Stijl”, II, 9, 1919, pp. 105-6).

8 Articolo firmato da T. van Doesburg e C. van Eesteren in “De Stijl”, VII, 6/7, 1924, colonne 89-91). Alle colonne 91 e 92 gli otto punti de “La grande epoque de la constrction”. Entrambi gli articoli sono datati Parigi 1923 e compariranno anche nel numero del novembre 1924 de “L’Effort Modern”.

9 Hans Richter, “Erklarung vor dem Kongress des internationaler fortschrittlicher kunstler, Düsseldorf” (“Dichiarazione al Congresso dell’Internazionale degli Artisti Progressisti, Düsseldorf””, in “De Stijl”, V, 4, 1922, colonne 57-59.

10 “Macht”: “forza, potenza, autorità”; “Ziebelbewusstheit”: “tensione, consapevolezza di se e del proprio fine”.

11 Theo van Doesburg, Kurt Schwitters, Hans Arp, Tristan Tzara, Christoph Spengemann: “Manifesto arte proletaria”, in “Merz”,n.° 2, aprile 1923, pp. 24-25, riportato in “Almanacco Dada”, a cura di Arturo Schwarz, Feltinelli, 1976, pp. 442-444.

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Gruppo dei partecipanti al Congresso Costruttivista Dadaista a Weimar, 1922: (da sinistra): Kurt Schwitters, Hans Arp, Max Burchardt e signora, Hans Richter, Nelly van Doesburg, Cornelius van Eesteren, Theo van Doesburg, sconosciuti)

 

1 Non firmato: “Breve panoramica degli avvenimenti al Congresso Internazionale degli Artisti a Düsseldorf; 29-31 maggio 1922”, in “De Stijl”, V, 4, 1922, colonne 49/52:

L’Associazione artistica “Das junge Rheinland” ha preso l’iniziativa di formare una sorta di Unione insieme a diverse Associazioni artistiche tedesche, quali la “Novembergruppe” (Berlino), la Darmstädter Sezession”, la “Dresdener Sezession” etc. Lo scopo era di fondare una “Internazionale” di artisti “progressisti”, sostenuta da una maggioranza di soggetti intermedi. Ma, anche questa volta, come al solito: nella teoria tutti d’accordo ma nella pratica ancora lontani. Con il Manifesto qui di seguito riportato “Das junge Rheinland” è riuscita comunque a riunire diversi gruppi di artisti tedeschi e francesi.

2 Das Junge Rheinland, Düsseldorf; Dresdner Sezession; Novembergruppe, Berlin; Darmstädter Sezesion: Shaffende, Dresden; Theodor Däubler; Else Lasker – Schüler; Herbert Eulenberg; Oskar Kokoschka; Christian Rohlfs;; Romain Rolland; Wassily kandinsky; Han Ryner; Edouard Dujardin; Marcel Millet; Tristan Remy; Marek Schwarz; Marcel Sauvage (Gruppe “L’Albatros”); Paul Jamatty; Prampolini; Pierre Creixamt; Henri Poullaille; Maurice Wullens; Pierre Larivière (Ghilde “Des Artisans de l’Avenir); Josef Quessnel; Germain Delatons (“Les Compagnons”); Stanislaw Kubicki; A. Feder; Jankel Adler; Arthur Fischer: “Appello di fondazione dell’Unione Internazionale degli Artisti Progressisti”, in “De Stijl”, V, 4, 1922, colonne 49/50):

Da tutte le parti del mondo provengono voci che chiamano all’unione degli artisti progressisti. Il caldo e animato rapporto di scambio dell’intelligenza internazionale è diventato necessità. Sono stati ritrovati collegamenti lacerati a causa degli avvenimenti politici. Vogliamo una cura collettiva dell’arte. Vogliamo un periodico collettivo internazionale. Vogliamo costruire una mostra perenne e collettiva dell’arte per ogni luogo del mondo. Vogliamo una festa musicale collettiva internazionale che almeno una volta all’anno riunisca tutti gli uomini sotto quel linguaggio che a noi è già del tutto comprensibile. La mesta segregazione dell’intelletto deve cessare una volta per tutte. L’arte ha bisogno del collegamento degli uomini nei quali essa vive. Al di fuori di tutte le questioni statali e senza i più reconditi pensieri politici e torbidi secondi fini, anche per noi deve significare: “Artisti di tutto il mondo unitevi!”. L’arte deve diventare internazionale, oppure essa si dovrà arrestare.

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Enrico Prampolini, “Busto di Bino Sanminiatelli”, 1917

Così sostenuta dal numero, l’Unione si sentiva abbastanza forte per guadagnare alla propria causa una minoranza di artisti veramente progressisti e costringere questi ultimi a sottoscrivere incondizionatamente il Manifesto sopra trascritto. Chiunque non avesse accettato di piegarsi a questa volontà sarebbe stato messo alla porta con sistemi perfettamente prussiani. Questo atteggiamento risvegliava la resistenza della minoranza progressista, in particolare della frazione internazionale dei Costruttivisti (van Doesburg, Lissitzky, Richter), che, con il suo attivo intervento, rintuzzava la manovra, così che la sottoscrizione obbligatoria del Manifesto fu mutata in una libera compilazione di un’innocente distinta di presenza. Il secondo atto dell’Unione consisteva nel leggere ed acclamare un “Programma” precedentemente preparato dalla “Junge Rheinland”, consistente in non meno di 149 paragrafi, quasi esclusivamente riferiti ad interessi commerciali e mostre, una festa musicale annuale ed un periodico artistico a carattere internazionale ancora da costituire (ma di cui, nota bene, era già apparsa notizia della sua uscita nel catalogo della Mostra Internazionale di Düsseldorf). Coloro che erano intervenuti per formare un’organizzazione di forze creative e coloro ai quali stava a cuore prima di tutto la cura dell’arte, fecero opposizione al Programma, dal quale traspariva chiaramente che tutta l’internazionale era stata preparata in precedenza, dato che tutti ne erano all’oscuro (ad eccezione della “Junge Rheinland”), cosa che era in netta contraddizione con l’obiettivo stesso del Congresso, chiamato a formare un’unità degli artisti presenti e progressisti, allo scopo di eliminare non più individualmente ma collettivamente tutti gli ostacoli frapposti allo sviluppo delle arti figurative. La “I. F. d. K.” (van Doesburg, Lissitzky, Richter) chiese pertanto che si dicesse chiaramente quale sarebbe stato il carattere che avrebbe assunto l’Internazionale, se, cioè, un carattere commerciale, oppure un carattere artistico. Si chiese inoltre che fosse nominato un Consiglio con  membri da scegliere fra tutti i presenti (e non solo fra i membri della “Junge Rheinland”), al quale Consiglio inoltrare tutte le proposte scritte sul modo in cui gestire l’Internazionale, proposte che avrebbero dovuto successivamente essere lette e dibattute pubblicamente. Tutte le domande relative al carattere dell’Internazionale non ebbero che una risposta evasiva e lo stesso avvenne della proposta di formare un Consiglio. L’oratore (Sig. Wollheim) fu interrotto da clamori al paragrafo 20, tanto da non poter continuare la lettura dei rimanenti 129 paragrafi. Furono quindi presentati altri suggerimenti, fra i quali quello di nominare una commissione di delibera rispetto al Programma dell’Unione. La “I. F. d. K.” Richiese ed ottenne una copia dei paragrafi. Dopo di che la seduta fu aggiornata ed i presenti invitati ad un giro in barca.

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Raoul Hausmann, “Jelzöallomäs”, in “Ma”, VII, 5-5, maggio 1922, p.5

(secondo giorno, 30 maggio)

Dopo che uno dei membri della “Junge Rheinland” ebbe tenuto un discorsetto introduttivo e dopo aver letto alcuni telegrammi pervenuti, fu avanzata la proposta che la parola fosse data a tutti i delegati. In tal modo sarebbe stato possibile orientarsi sulle esigenze ed i desideri dei presenti. I Dadaisti, che avevano sollevato proteste fin dall’inizio, si opposero all’intero procedimento ed al carattere del Congresso. Il Sig. Henry Berlewi (Polonia) chiese che si precisasse che cosa si intendesse per “artisti progressisti”. Uno dei delegati francesi dichiarò che la Francia era disposta a tenere esposizioni di opere d’arte tedesche, purché l’Unione facesse proposte concrete. Un altro delegato della Francia sottolineò la necessità di una nuova “Romantica” (proteste dei progressisti). Il Sig. Kubitzky fece un accenno alla necessità di instaurare una collaborazione fraterna ed amichevole (applausi). Dato che mancava un moderatore, il fracasso era continuo ed imponente. Gli ultimi oratori furono Lissitzky, Richter, van Doesburg. Questi spiegarono il motivo della loro presenza con dichiarazioni che furono accolte in parte con applausi, in parte con fischi. Queste singole dichiarazioni, unitamente alla dichiarazione riassuntiva – qui riportate interamente – furono rilasciate in copia ai rappresentanti francesi ed italiani al termine del Congresso. Successivamente, il Sig. Raoul Hausmann (Dadaista) lesse una protesta in francese e tedesco, nella quale affermava di non appartenere né ai progressisti né agli artisti, tanto meno di essere internazionale, bensì di essere “cannibale”. Dopo di che, abbandonò la sala. Il Sig. Werner Gräff concluse la replica di van Doesburg con questa parole: “Sono il più giovane fra tutti voi e giungo alla conclusione che voi non siete né internazionali né progressisti e nemmeno artisti. Per questi motivi, io non ho niente a che fare con questo posto”. Parole che furono accolte da un applauso scrosciante da parte della I. F. d. K. Dopo di che, fra le proteste ed i fischi da una parte, l’applauso dall’altra, gli appartenenti alla I. F. d. K., i Futuristi, i dadaisti e molti altri abbandonarono il Regeierunsgebäude di Düsseldorf. Il Gruppo “Sintesi” aveva reso noto, fin dall’inizio, il seguente proclama:

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Raoul Hausmann, “L’Esprit de notre temps”, in “Mecano”, 1, 1922

3 Gruppo “Sintesi” (Iwan Puni, Karl Zalit, Arnold Dzirkal): “La Proclamazione del gruppo di artisti su domande che non contraddicono il giudizio del Congresso”), in “De Stijl”, V, 4, 1922, colonne 53/55).

Siamo contro quest’arte inutile e senza finalità che, a causa dell’individualismo – che si basa sul sentimento e sull’intuizione – inconsistente e disorganizzato, rifiuta l’opera consapevole di se stessa per quanto ne riguarda la costruzione ed a chi la guarda non mostra che una cacofonia di voci confuse, facendo un servizio alla “Arena”. Sentimento ed intuizione sembrano essere la fonte della produzione, però il modo di presentarsi delle cose fatte non sarà mai esecuzione naturale degli uomini, se è completata da un pensiero organizzato e costruttivo. Comunque, dato che l’arte ha come compito, come ultimo fine, quello di esprimere le personalità con la più grande pienezza, risulta che anche l’individualismo è indispensabile. Le opere d’arte cui è stata sottratta questa forza sono solamente apparizioni, la cui durata si esaurisce in un paio di anni. Noi siamo contro quegli artisti che in arte fanno una distinzione fra un “alto” e un “basso” (l’art populaire), perché ciò ci fa l’effetto del sentimentalismo romantico di una vecchia zitella che guarda una rosa e la luna con ammirazione. Noi vediamo l’arte astratta nell’opera pura, come in una escursione analitico – istruttiva, perché è arte in sviluppo e pertanto non rappresenta l’arte della perfezione. Artisti che la concepiscono come arte della perfezione (arte d’élite) cadono inevitabilmente nel decorativo, oppure tendono a porsi oltre le frontiere dell’arte figurativa, oppure precipitano in fantasticherie, insensate e senza scopo, di costruzioni “all’americana” ed in fondo non sono niente altro che fantasie distorte e noiose che vivono nell’età matura dei romani. L’opera plastica deve essere confrontata con il senso della macchina, come questa viene organizzata secondo il principio di un ritmo funzionale; così anche l’opera plastica deve essere finalizzata ad un principio di ritmo estetico che non le è meno appropriato. Siamo contro l’imposizione della definizione “arte collettiva” in favore dell’arte radicale. Alla creazione di questa denominazione possiamo addurre: la limitazione del pensiero ed il miscuglio dei sentimenti, che vorrebbe significare una stessa cosa, come se la medicina fosse etichettata come borghese e la filosofia come questione sociale etc. Come, allo stesso modo, il socialismo nell’età contemporanea appare solo come metodo per il lavoro critico, così la dottrina del collettivismo dà impulso al lavoro. Per il socialismo, che rappresenta una delle forze che operano nella collettività della società presente, la dottrina del collettivismo è uno scopo implicito, un prezzo implicito, la ragione dell’attività. Il socialismo, che è principalmente critica, concepisce la nuova società come miglioramento della vecchia; così, pure nella prassi, sarà nella reale complessità solamente la massima tensione della cultura europea. Filosofia, Sapere ed Arte possono non avere alcuno scopo determinato; il loro scopo è insito nel loro movimento interiore. Il futuro che aprono e formano può essere formulato solo attraverso una trasformazione di un individualismo, una unità nel cosmo. In questo senso, l’arte radicale è semplice arte del futuro, nel momento in cui forma questo futuro, arte della cultura futura, che sarà costruita su nuove e più ampie possibilità dello spirito e su una base sintetica, non una conoscenza analitica. Noi troviamo che il diritto di pensiero nel piano del socialismo compete anche al pittore, non però come pensatore sul piano della creazione estetica. In caso contrario, sarebbe un restringimento dei compiti; sofismi ed atteggiamenti di parte conducono ad inevitabili convenzioni che sempre e dovunque costringono le forze creative della personalità in ristrettezze tattiche. Inoltre, quelli che fanno riferimento all’arte collettiva, interpretano questo fatto come cosa che seduce l’osservatore e su questo piano è visibilmente fondata la distruzione dell’arte come fine a se stessa. Noi, dal canto nostro, troviamo che l’arte deve rimanere, come la scienza, una disciplina a se stante. Aggiungiamo, inoltre, che presto o tardi è possibile la realizzazione dell’arte totale attiva, al di là delle frontiere dell’arte indipendente. Abbiamo argomenti per dichiarare che una serie di pittori che per qualche tempo, con il nostro stesso lavoro, hanno effettuato la dissezione analitica, hanno concepito ciò come un lavoro di distruzione dell’oggetto. Studiando il ritmo delle parti hanno inteso il movimento al di fuori delle frontiere dell’opera d’arte, perché la sua natura, formulata secondo l’immagine, era un movimento incompiuto. Essi hanno utilizzato la costruzione della figura come costruzione nel complesso e l‘impadronirsi della conoscenza nell’arte come preparazione per una prassi cosciente. Proprio come ginnasiali chiusi a scuola, ritengono che lo scopo dell’educazione non consista nella scienza stessa ma nell’afferrare un titolo da ingegnere, architetto o dottore e, in conseguenza di ciò, cadono nel dilettantismo industriale che porta all’autodistruzione, non solo dell’artista ma anche dei costruttori, perché con tutta probabilità tutte le cognizioni tecniche che ricevono in gioventù finiranno in una distruzione senza speranza. Inoltre, proprio per mezzo della costruzione astratta, che essi intendono non come analisi ma come sintesi nell’arte figurativa, hanno distrutto i contatti tra il mondo e l‘individuo e quindi perduta l’influenza di nuovi effetti esterni. Hanno cominciato a ripetersi e a trasformare l’arte ancora solamente in un idillio musicale; avrebbe dovuto immancabilmente effettuarsi un fatto che ancora comprova che abbiamo a che fare, in tuti questi casi, con l’arte decorativa che mostra sempre di sforzarsi di uscire dalle frontiere del pensiero estetico e maschera un altro contenuto. In tutti questi casi abbiamo a che fare, non fosse altro che per ammissione diretta od indiretta, con una serie di pittori che dopo molti anni di lavoro analitico, per l’impossibilità di un lavoro sintetico, sono venuti sulla strada della più grande opposizione, cioè su quella dell’arte pura, mentre preferivano la via dell’opposizione minore, non facendosi portatori di un’arte ma essendo essi stessi trascinati, come una palla di neve che precipita da una montagna. Perciò noi proclamiamo categoricamente che in tutti i casi ed in tutti i discorsi sull’arte collettivista o problematica, se si tratta della sintesi e non dell’analisi della pittura, abbiamo a che fare con un’arte di produzione di oggetti utilitaristici. Si tratta di una retroguardia e non di un’avanguardia in arte, vale a dire di una generalizzazione da principianti dell’arte radicale che al momento si svolge e penetra in tutte le emanazioni della vita come arte artigiana e decorativa e si avvicina al riconoscimento ufficiale. Il movimento dei puri pensieri estetici può solo stare sulla via della determinazione individuale e dei prodotti ottenuti dalla via analitica della pura cultura dell’arte ed a lunga distanza e complessivamente sulla stessa via, che arriva anche al pensiero saggio: la via della battaglia con il cosmo, perché non l’arte commerciale ma la pura arte, come anche il pensiero filosofico, ha a che fare non con ‘organizzazione esteriore della vita ma con i principi dell’essere della personalità.

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Raoul Hausmann, “Tatlin a casa”, in in “Mecano”, 3, 1922

Redazione di “Oggetto” (El Lissitzky, Eli Ehrenburg): “Dichiarazione al Primo Congresso degli Artisti Progressisti, Düsseldorf”, in “De Stijl”, V, 4, 1922, colonne 56/57:

I Sono qui nella veste di rappresentante del periodico “Oggetto”, l’organo di un’opinione internazionale che, a capo della nuova arte, raduna quasi tutti i Paesi.

II Questa opinione è caratterizzata dall’applicazione per il rifiuto della visione immaginistica e soggettiva del mondo e dalla costruzione della inequivocabile realtà universale.

III La prova quindi che questa opinione è internazionale è costituita dal fatto che in Russia, in un periodo di sette anni di completo isolamento, si presentarono gli stessi problemi come qui, dai nostri amici occidentali, senza che gli uni sapessero degli altri. In Russia si ha, in una lotta dura ma proficua, il primo tentativo su grande scala, la nuova arte basata su provvedimenti sociali e statali.

IV Contemporaneamente, abbiamo imparato che il progresso dell’arte è possibile solo in una società che, nel suo complesso, avanza verso nuove forme di organizzazione.

V In questo progresso comprendiamo: l’esonero dell’arte dal compito dell’ornamento, l’essere decorazione per la felicità degli animi da poco. Questo progresso consiste quindi nel provare e nello spiegare che la figurazione è il diritto di tutti gli uomini. E per questo non abbiamo nulla a che fare con quelli che, come frati nei loro chiostri, si affaccendano con arte al servizio di Dio.

VI La nuova arte verrà costruita su una base che non è soggettiva ma di tipo collettivo, che decide come la scienza ed è costruttiva secondo la sua natura. Non associa solamente rappresentanti della cosiddetta arte pura ma tutti quelli che stanno sugli avamposti della nuova cultura. L’artista è compagno dello scienziato, dell’ingegnere, dell’operaio.

VII Come sempre, la nuova arte oggi non viene compresa e non solo dalla società ma – e questo è ancora più pericoloso – anche da qualcuno di quelli che si chiamano artisti progressisti.

VIII Per combattere contro questa situazione è necessaria un’Unione che si costituisca economicamente come forza. Solo questa forza è quanto ci unisce. Se vogliamo difendere un gruppo di uomini che si chiamano artisti, non abbiamo bisogno di costituire alcuna Internazionale extra. Abbiamo già organizzazioni internazionali di pittori, tintori, laccatori. Professionalmente apparteniamo a loro.

IX Consideriamo un’Internazionale degli artisti progressisti come una piazzaforte dei combattenti per la nuova cultura. Qui deve essere superata l’arte nelle sue vecchie forme di manifestazione; come il prodotto dei creatori, è da rapportare all’universalità.

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László Moholy – Nagy, “The Large Railway Picture”, 1920, in “Ma”, VI, 9, settembre 1921

5 Theo van Doesburg, Rob. Ven’t Hoff, Vilmos Huszar, Antony Kok, Piet Mondrian, G. Vantongerloo, Jan Wils: “Resoconto del Gruppo Stijl (Olanda)”, in “De Stijl”, V, 4, 1922, colonne 59/62).

All’Unione Internazionale di Artisti Progressisti

I Parlo qui in nome del Gruppo olandese “Stijl”, che è nato dalla necessità di fare un bilancio dell’arte moderna, cioè di risolvere nella prassi i problemi generali.

II Per noi vale la costruzione, cioè l’organizzazione dei suoi mezzi per l’unità (figurazione).

III Questa unità è possibile solo attraverso la repressione degli arbitrii soggettivi nei mezzi di espressione.

IV Noi abbandoniamo tutte le scelte soggettive di forme e prepariamo l’applicazione di un mezzo obiettivo di figurazione universale.

V Noi chiamiamo Progressisti quelli che non temono tali conseguenze delle nuove idee in arte.

VI Gli artisti progressisti olandesi si sono già prima degli altri posti da un punto di vista internazionalista. Anche durante la guerra (vedi: “Introduzione a Stijl”, n.° 1, 1917).

VII L’impostazione internazionalista venne dallo sviluppo del nostro stesso lavoro. Accresciuto anche nella prassi. Le stesse necessità sono state avvertite anche dallo sviluppo dei maggiori artisti progressisti di altri Paesi.

VIII Nell’anno 1918 abbiamo emesso il nostro primo Manifesto, nella certezza che in tutti i Paesi si sono sviluppati gli stessi problemi (così nella scienza, nella tecnica, nell’architettura, nella scultura, nella pittura, nella musica etc.).

IX Il Manifesto proclamava quanto segue (seguiva il “Manifesto I De Stjil”, 1918).

X Questo manifesto è stato composto dall’intenzione collettiva di lavoratori creatori: pittori, scultori, architetti e poeti ed ha risonanza preso gli artisti progressisti di tutti i Paesi (vedi il n.° II di “De Stijl”, 1918, p. 94 e n.° III, 1919, pp. 1-4). Da qui è venuta la prova che un’organizzazione internazionale sia attuabile e necessaria. Io sono giunto a collaborare proficuamente a questa organizzazione.

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I. K. Bonset (pseudonimo dadaista di Th. Van Doesburg), “Letterklankbeelden”, in “De Stijl”, IV, 7, luglio 1921

6 Non firmato: “Richieste costruttive di De Stijl”, in “De Stijl”, V, 4, 1922, colonna 61:

1 Cessazione delle mostre. Quindi sale di dimostrazione per il lavoro collettivo (applausi).

2 Scambio internazionale di idee su problemi costruttivi.

3 Sviluppo di un mezzo figurativo univoco internazionale per tutte le arti.

4 Cessazione della divisione fra arte e vita. L’arte sarà vita (applausi).

5 Cessazione della divisione fra artista e uomo.

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Raoul Hausmann, “Les Ingénieurs”, 1920

 

7 Theo van Doesburg, El Lissitzky, Hans Richter: “Spiegazione”, in “De Stijl”, V, 4, 1922, colonne 61/64:

SPIEGAZIONE della posizione dei Costruttivisti (Costruttivista è qui usato solamente per caratterizzare il contrasto con tutti gli “impulsivisti”) del Primo Congresso Internazionale degli Artisti Progressisti. Noi siamo venuti a Düsseldorf con la ferma volontà do formare una Internazionale. Conseguentemente, abbiamo messo in evidenza quanto segue:

UNIONE

I Come fondamento dell’organizzazione, l’appello di fondazione stabilisce la “relazione calda e viva di scambio degli spiriti internazionali”.

II La completa non chiarezza riguardo agli scopi propri dell’Unione: se essa debba essere una Lega per la rappresentazione degli interessi economici, oppure costituire un apparato economico di esecuzione di determinati interessi culturali.

III Nessuna definizione del concetto di “Artisti Progressisti”. Domande di questo tipo sono state eliminate dall’ordine del giorno con la motivazione che il genere ed il modo in cui si pongono nei confronti dei singoli problemi dell’arte sia un fatto del tutto personale.

IV L’Unione ha previsto, come emerge dal Manifesto di fondazione, una serie di progetti che principalmente hanno come scopo un esercizio internazionale di mostre di arti figurative. Conformemente a ciò, il piano dell’Unione è di mettere in moto una politica commerciale di colonizzazione.

NOI

I La buona volontà non è un programma e se, per di più, al momento manca la buona volontà, all’interno del Congresso essa può modificare l’opposizione.

II Per noi è chiaro che anzitutto debba attuarsi una presa di posizione determinata sui problemi dell’arte e che le richieste economiche hanno un senso solamente in relazione a questo.

III Noi definiamo gli “Artisti Progressisti” come chi nega il predominio dei soggettivismi nell’arte e combatte e costruisce la sua opera non su di un arbitrio lirico ma sul principio della nuova figurazione attraverso un’organizzazione sistematica dei mezzi per un’espressione generale e comprensibile.

IV Noi respingiamo le mostre d’arte odierne come magazzini dove sono commerciate cose che non hanno alcuna relazione tra loro. Noi stiamo ancora tra una società che non ci serve e un’altra che non esiste ancora. Quindi ci sono utili solamente mostre in considerazione di quanto vogliamo realizzare (schizzi, piani, modelli) o di quanto abbiamo realizzato.

Dalle ragioni enunciate risulta chiaro che un’Internazionale degli Artisti Progressisti può esistere solamente sulle basi seguenti:

  1. a) L’arte è, così come la scienza e la tecnica, modo di organizzare la vita collettiva.
  2. b) Noi stabiliamo che l’arte oggi essa di essere un sogno, che essa si leva al confronto con la realtà del mondo, cessa di essere un mezzo per la scoperta dei segreti cosmici. L’arte è un’espressione comune e reale di energie creatrici che organizza il progresso dell’umanità; ciò significa che essa è l’attrezzo del progresso collettivo del lavoro.
  3. c) Si deve combattere per inserire tutto ciò nella realtà e per questa battaglia ci si deve presentare organizzati. Solo così verranno liberate le energie collettive. Così sarà il punto principale ed economico per l’unità.

Gli Atti del Congresso hanno provato che, a causa del predominio degli atteggiamenti individuali, no si può costituire una solidarietà progressista internazionale dagli elementi di questo Congresso.

Düsseldorf, 30 maggio 1922.

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El Lissitzky, “Senza titolo”, in “De Stijl”, V, 10/11, 1922

8 Theo van Doesburg, El Lissitzky, Hans Richter, Karel Maes, Max Burchartz: “Unione Internazionale dei Costruttori Neoplasticisti”, in “De Stijl”, V, 4, 1922, colonne 117/119:

UNIONE:

Economia della nostra potenza di lavoro. L’iniziativa individuale non è più sufficiente per dare soddisfazione ai problemi della vita moderna. Il lavoro collettivo è in pratica necessario (metodi di organizzazione moderni). L’organizzazione della forza creativa facilita il lavoro a tutti gli artisti (allargamento del dominio del lavoro) e l’individualità artistica diventa più intensa.

INTERNAZIONALE:

Identica volontà in Paesi differenti, nel rispetto delle diverse condizioni.

COSTRUTTORI:

Nuova concezione della vita contemporanea in rapporto alle condizioni dell’epoca, con mezzi di espressione elementari. Applicazione logicamente spiegabile di questi mezzi.

Il contrario di tutta la produzione artistica soggettiva, puramente sentimentale.

Costruttivo: realizzazione di problemi pratici (inclusi i problemi del Neoplasticismo). In conformità ai moderni metodi di lavoro.

Il contrario di ogni improvvisazione creatrice soggettivamente limitata.

NEOPLASTICA:

realizzazione – principalmente in rapporto alla vita nella sua totalità.

Neo – plastica: ciò che attraverso le proprie conseguenze riforma essenzialmente la vita reale (incluse l’invenzione e la scoperta di nuovi materiali). Ad ogni oggetto un progresso.

Il contrario di un uso imitativo senza necessità vitale. Su questa basi solamente è possibile formare un’Internazionale.

Lo scopo di questa Internazionale è:

1 di risolvere problemi di ordine pratico.

2 Di mostrare alle nuove generazioni l’utilità dei nostri sforzi reali e l’inutilità di certe produzioni individualiste delle epoche passate. Le produzioni individuali non ci interessano, se non per i progressi che contengono e che non hanno ancora trovato la loro applicazione nella vita reale.

Questa Internazionale non è il risultato di qualche sentimento umanitario idealista o politico ma dello stesso principio amorale ed elementare su cui si basano la scienza e la tecnica. Come tutte le altre corporazioni, siamo costretti ad organizzare il nostro lavoro, per sviluppare ampiamente l’evoluzione della nostra personalità. L’unione immediata dei nostri amici di tutti i Paesi è assolutamente necessaria per l’organizzazione di questa Internazionale.

Si prega di inviare le adesioni e proposte all’Ufficio Centrale.

WEIMAR, SETTEMBRE 1922

Comitato provvisorio: Theo van Doesburg (Paesi Bassi), El Lissitzky (Russia), Hans Richter (Germania), Karel Maes (Belgio), Max Burchartz (Germania).

Ufficio centrale:

Berlin – Friedenau, Eschenstr. 7. Tel. Rheingau 9978.

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Lajos Kassák, “Copertina” per “Ma”, 1922-23

9 Non firmato: “ Frammento della Relazione italiana presentata al Congresso di Düsseldorf”, in “De Stijl”, V, 4, 1922, colonne 119/124:

1 IL CONTRIBUTO ESTETICO DELLE DIVERSE TENDENZE D’OGNI PAESE

Le possibilità estetiche, nell’evoluzione dell’arte, sono innumerevoli. Il Futurismo ha aperto in Italia ed all’estero le infinite vie di queste possibilità. In Italia, prima dell’avvento del Futurismo, or sono dieci anni circa, le facoltà intellettuali dei giovani e degli innovatori erano limitate dal circolo chiuso della tradizione ed ogni possibilità era respinta dal pregiudizio, mentre al di là dei nostri confini l’evoluzione del pensiero dell’arte compiva la sua marcia ascensionale verso i nuovi mondi dello spirito e dell’estetico. Il demagogismo anonimo ed occulto, che serpeggiò nell’infida atmosfera delle arti, ostile ad ogni volontà d’azione, la repressione, vieppiù incalzante, di ogni libero arbitrio, che pesava come u sorda sulla germogliante intellettualità europea, maturò il fenomeno futurista. Questo fenomeno di reazione violenta non poteva essere prodotto che da uno spirito italiano ed è perciò che dobbiamo ancora oggi salutarlo con entusiasmo e con fede. Questo solo – l’avvento del Futurismo – ha permesso all’Italia di rinnovarsi, allargando i propri confini intellettuali, saggiando le nuove possibilità estetiche. Dal 1870 ad oggi la pittura, attraverso l’Impressionismo, il Cubismo, il Futurismo e l’Espressionismo (per citare le tendenze madri) mantenendosi, in un campo scientifico, fra pure ricerche luministiche e cromatiche, plastiche o spaziali, dinamiche o di astrazione, di deformazione o negazione, non ha varcato i limiti del naturalismo – periodo questo da ritenersi ormai definitivamente superato. Ammesso il valore e l’audacia dei numerosi artisti che, dalle suddette ricerche e tendenze, seppero trarre un profondo contributo a favore del tecnicismo, scandagliando gli innumerevoli aspetti del mondo fisico. Oggi però il problema evolutivo delle arti plastiche esige altresì un orientamento spirituale e se ieri abbiamo esplorato e scoperto i nuovi valori della sensibilità umana, eternandoli in nuovi valori plastici, oggi dobbiamo rivolgerci al loro spirito, comprenderne l’intimo significato spirituale, la fisionomia interna ed occulta e raccogliere l’eco incompresa di mille differenti voci ed in esse trovare la facoltà unica di espressione dell’arte di domani.

2 CONTRO OGNI REAZIONE

Nella crisi estetica che attualmente attraversano le arti plastiche, si nota il fenomeno della reazione. Alcuni artisti, per titubanze spirituali o per dure necessità economiche, per incapacità creativa o per superficialità di concetti, per imperfetta assimilazione delle idee fondamentali che presiedono al nostro rinnovamento o, infine, per snobismo, vanno annunziando l‘avvento della reazione, cioè il ritorno a quelle espressioni d’arte ormai passate e superate. Tale fenomeno ha conseguenze, se non pericolose, certo deplorevoli. A parte il plagio e l’imitazione pedissequa, che sono le caratteristiche evidenti di tale voltafaccia spirituale, la reazione è uno sforzo a vuoto, un non senso, in quanto, opponendosi in modo ridicolo e vanamente alla fatalità storica della legge di evoluzione, si presenta con opere che non aderiscono più alle esigenze dello spiritualismo odierno e che quindi non trovano eco al di fuori della cerchia dei cenacoli degli stessi autori: teoricamente e logicamente inammissibile, la reazione in arte porta poi a tristi conseguenze, poiché non solo invita alla rinuncia implicita della propria personalità molti artisti, soprattutto giovani, che, trovandosi alle prime armi ed in presenza delle innegabili difficoltà di un periodo di crisi, sentono più facile e più comodo rivolgersi ad un verbo che promette loro riposo assoluto delle facoltà creative e facilità tecniche ma ancora più dannosa appare, in quanto perturba l’opinione di quanti si interessano d’arte, tentando di gettare semenza di pregiudizi, di dubbi e tentando di moltiplicare gli equivoci attorno a noi. Dobbiamo pertanto combattere aspramente contro ogni forma di reazione! Nel lasciare il tema, voglio però toccare una distinzione sulla quale i reazionari giocano con evidente malafede: la distinzione fra tradizione e reazione. Di quest’ultima abbiamo già detto. Della tradizione, di cui i reazionari si vantano custodi e tutori, va rilevato come essi ne abbiano frainteso lo spirito, se non ne hanno contorto il significato deliberatamente. Vi è tradizione formale e tradizione spirituale. La tradizione è un fenomeno spirituale ed esterno che differenzia le caratteristiche etniche delle razze e delle tendenze psicologiche e delle usanze dei popoli. Di questo fatto storico i reazionari non colgono l’essenza intima ma, arrestandosi alla considerazione superficiale del fenomeno, alla sua ultima conseguenza, all’opera d’arte così come essa nasce in determinate epoche, esaltano la tradizione artistica formale di un periodo, cioè il transitorio, l’accidentale. Essi tentano di rivivere artisticamente un’epoca morta, di cui non è rimasta che l’effige: l’opera d’arte e mentre la tradizione persegue il suo divenire, essi si fermano, sepolcri imbiancati per i cadaveri delle loro opere.

3 AUTONOMIA E COLLABORAZIONISMO

Il temperamento dell’artista, in generale, è caratteristicamente orgoglioso, per il fatto di essere privilegiato, in quanto è libero creatore ed indipendente signore delle proprie idee, è restio ad unire la propria personalità a gruppi di suoi consimili. L’artista italiano, in ispecie, è estremamente individualista, anzi, direi che si vanta al massimo grado della propria personalità. Questo, se può giovargli come mezzo di difesa delle proprie caratteristiche, gli nuoce grandemente per ciò che riguarda la sua cultura e la valorizzazione della propria produzione artistica. Questa tendenza italiana all’individualismo assoluto, lungi dall’attenuarsi, si va acuendo e noi abbiamo dovuto deplorare lo scompaginamento di gruppi caratteristici che a stento si erano formati. Da noi il dramma dell’isolamento è insito nello spirito dell’artista ed è ribadito, inoltre, da altre cause di indole pratica ed economica. Romanticamente, l’artista italiano vive ancora fuori della società, anzi ostenta di vivere sopra di essa e come un profeta contempla dalla sommità della montagna le moltitudini che disprezza. Non comprende che, come potenza individualista, potrebbe dominare o, almeno, mutare il corso degli eventi per tutto ciò che rappresenta la sua sfera e ad ogni modo trarre esperienza e partito dalla vita pratica della società, come si fa altrove, come si fa nella maggioranza dei Paesi qui onorevolmente rappresentati. Propugno quindi la tesi di un collaborazionismo internazionale che credo indispensabile per guarire l’artista italiano dal suo morboso individualismo e che reputo vantaggioso alla comunità per la maggiore reciproca conoscenza, fonte di accordi, di scambi di idee, di cordiale amicizia. Dovremmo però stabilire aprioristicamente quali tendenze dovranno essere chiamate a collaborare, poiché non possiamo scindere i principi estetici professati dai vantaggi pratici che tale unione di spiriti dovrà generare. Ma, prima di distinguere, mi sia lecito porre una pregiudiziale: che non v’è possibilità di comprensione se non vi è volontà determinata di oltrepassare ostacoli, attenuando spigoli, concedendo facilitazioni, smussando individualismi morbosi. Vi è da difendere il singolo ed il principio e su questo credo che siamo tutti concordi. Diamo opera pertanto alla formazione di un’intesa spirituale che, prescindendo dalle diverse tecniche, estetiche, tutte convergenti però all’idea di rinnovamento e di evoluzione, di coraggiosa ricerca assidua e di operoso studio delle nuove possibilità artistiche – propugni un più attivo ed intenso scambio di vedute tra gli artisti; per mezzo di convegni e di riviste, studi i mezzi più atti a valorizzare la loro opera nella conoscenza dei critici e degli intellettuali e nel giro di mercati, porti infine allo stile, dalle personalità a concezioni di principio che non consentano perversioni reazionarie e peggio.

 

10 “RELAZIONE DEL PITTORE ITALIANO ENRICO PRAMPOLINI” (sul “Contributo degli artisti italiani d’avanguardia”), in “De Stijl”, V, 8, 1922, colonna 125:

SOMMARIO

.I Parte

1 INTRODUZIONE. I primi albori estetici dell’anteguerra e la nuova conoscenza del dopoguerra – l’opera profetica degli artisti nell’avvento delle civiltà e nel rinnovamento spirituale delle coscienze.

2 AUTONOMIA E COLLABORAZIONE. Il carattere individualista italiano e la necessità di collaborazione internazionale per la tutela del principio, piuttosto che dell’individuo – collettivismo spirituale ed individualismo formale.

3 CONTRIBUTO ESTETICO ELLE DIVERSE TENDENZE DI OGNI PAESE. Il Futurismo italiano e le tendenze straniere – affinità estetiche e teoriche. L’avvento dello spiritualismo – Riassunto teorico.

4 CONTRO OGNI REAZIONE. Tradizione nello spirito e non nella forma è Nazionalismo ed etnicismo.

II Parte

5 ISTITUZIONI ECONOMICHE E DI CREDITO. Basi generali per la fondazione di un capitale fruttifero – Sottoscrizioni – convenzioni governative e comunali – depositi a credito e depositi fruttiferi – mutui – ipoteche.

6 LEGISLAZIONE E CONVENZIONI INTERNAZIONALI. Legislazione delle Belle Arti per la tutela degli interessi morali ed economici degli artisti – diritti d’autore ed esenzione tasse – agevolazioni e riduzioni ferroviarie, abolizione delle visite doganali e della Sovrintendenza Belle Arti.

7 ISTITUZIONI CULTURALI E DI PROPAGANDA. Gallerie per esposizioni permanenti e circolanti. Club – circoli – teatro – biblioteche – sviluppo editoriale (riviste e libri) – conferenze – concerti – congressi.

8 L’UNIONE INTERNAZIONALE DEGLI ARTISTI PROGRESSISTI E LA FONDAZIONE DI UN CONSORZIO INTERNAZIONALE PER LA TUTELA DEGLI INTERESSI ARTISTICI ED ECONOMICI E SCAMBI DI RAPPORTI INTERNAZIONALI. I benefici di una Unione Internazionale e la necessità di un consorzio internazionale per l‘accentramento delle varie istituzioni affini per la difesa dei principii estetici e degli interessi economici.

11 “MA”: “Presa di posizione del Gruppo MA in Vienna al Primo Congresso degli Artisti Progressisti in Düsseldorf”, in “De Stijl”, V, 8, 1922, colonne 125/128:

Dalla presentazione al pubblico del n.° 4 di “De Stijl” ci viene chiaro il profondo contrasto di opinioni e di fini che sta tra noi e quanto hanno convocato il Congresso. Questi ultimi sono per ‘accentuazione dei particolari interessi degli “artisti individualisti”, mentre noi consideriamo la vita dal punto di vista sociale degli uomini e con questa consapevolezza diciamo che l’Uomo nella sua individualità è un atomo che compone la società. Ne consegue che la sua creazione, in ogni tempo, deve essere dichiarazione e presa di posizione di uomini che agiscano insieme a forze collettive. Da questo risulta chiaro che noi, come facciamo in tutte le nostre considerazioni, anche questa volta prendiamo posizione innanzitutto come uomini e non come artisti rispetto ai problemi del Congresso; questo unicamente come conseguenza della nostra condizione umana. Da questa considerazione deriva la posizione di rifiuto dell’Unione, che pianifica a priori e vogliamo proclamare, con lo scopo di promuovere una collaborazione attiva di tutti gli spiriti operanti, che le nostre vite attive credono alla futura società collettiva come unica base possibile per il primo passo n avanti. Il primo dovere dello specifico lavoro artistico, cui indirizzarsi al massimo livello, è la dimostrazione che l’arte intesa come mezzo di esperienze psichiche soggettive ha perduto ogni significato: essa deve soddisfare le richieste oggettive dei tempi. A questo proposito, l’arte non può non considerare innanzitutto i problemi insoluti del settore artistico nella vita moderna e poi non può fare a meno di trovare la via ed il mezzo attraverso cui questi problemi possano essere risolti nella collaborazione attiva dei nuovi artisti. Noi vi proponiamo nel modo che segue la struttura dell’organizzazione internazionale dei creatori rivoluzionari.

1 la sua centrale è la Commissione amministrativa, da cui proviene anche l’iniziativa. Essa dispone almeno due delegati, del gruppo di ogni singolo settore, che possano sorvegliare l’intero lavoro collettivo. Il suo compito consiste nella concentrazione di tuti i mezzi spirituali e materiali, nella garanzia di ogni possibile processo di associazione e di dissociazione nell’interesse della collettività nel suo insieme e dei migliori risultati possibili. A questo scopo essa si pone i compiti e prende misure idonee; forma nuovi posti di lavoro, dimostra e propaganda i risultati (congressi, pubblicazioni, esposizioni dimostrative etc.).

2 I gruppi speciali dei singoli settori di lavoro sono in stretto contatto l’uno con l’altro, non solo attraverso la Commissione amministrativa ma anche con rapporti diretti. Il loro compito è nel loro proprio settore di lavoro, come quello della Commissione amministrativa nei confronti dell’intera organizzazione. Preparano i anticipo la costituzione dell’organizzazione:

A i periodici “Ves” (“Oggetto”), “De Stjil” e “Ma”, come organizzazioni che con la loro attività rappresentano finora un modo unitario di vedere, dove questo modo di vedere manca del suo secondo aspetto, secondo la linea del progresso secondo mezzi termini – devono spiegare senza alcun dibattito giornalistico anteriore che l’organizzazione internazionale dei creatori rivoluzionari è costituita.

B dalle redazioni dei tre periodici devono essere delegati due membri per ‘Amministrazione provvisoria delegata dell’Unione. L’Amministrazione provvisoria deve avere sede a Berlino. Il primo compito della Commissione amministrativa deve essere quello di elaborar lo statuto dell’organizzazione, da pubblicare nei tre periodici di cui alla lettera A.

C contemporaneamente la Commissione amministrativa deve rendere noto lo scopo dell’Unione ed emanare un appello per le adesioni.

D la Commissione amministrativa provvisoria dell’organizzazione cerca di organizzare le forze rivoluzionarie secondo una visione mondiale in una forma, nella cui struttura gli artisti non effettuano solo una produzione massimale ma anche questa produzione massimale possono utilizzare anche per liberare le energie incatenate.

E si deve trovare il modo di concretizzare quanto segue: che le tre menzionate pubblicazioni raggiungano un possibile risultato unitario, senza dare adito al timore di una “uniformazione”. Questo sarebbe per noi l’obiettivo da raggiungere, se i tre periodici avessero (fino a quando non ci sarà dato di avere notizia di qualche altra tendenza con gli stessi obiettivi) una relazione di scambio reciproco che renda loro possibile lo scambio dei prodotti artistici. Gli apparati amministrativi delle tre pubblicazioni devono rimanere a disposizione l’uno dell’altro sotto determinate condizioni.

F la Commissione amministrativa provvisoria deve trovare il modo di allestire mostre stagionali dimostrative della produzione degli artisti che vi appartengono. Preparare un catalogo dove, in varie lingue, venga illustrato il materiale; in tutti i Paesi vengano organizzate conferenze nelle lingue appropriate (le iniziative dovrebbero essere prese su basi politiche da un Paese perfettamente neutrale: l’Olanda).

G deve essere completata un’antologia degli scritti dei membri, dei creatori dell’Organizzazione internazionale rivoluzionaria, da pubblicarsi in tutte le lingue culturali. La preparazione dell’antologia è affidata alla Commissione amministrativa provvisoria.

H i contributi dei componenti al sostegno dell’Amministrazione, come per gli altri ulteriori compiti dell’Amministrazione, fino alla determinazione del Congresso, devono essere stabiliti dalla Commissione amministrativa.

I la Commissione provvisoria, quale organo di fiducia, non può pretendere alcun onorario per le sue attività.

J la Commissione amministrativa provvisoria è operante fino alla convocazione del primo Congresso.

K la Commissione amministrativa provvisoria è impegnata a convocare il primo Congresso internazionale entro un anno.

Vienna, luglio 1922

 

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